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ventitrè anni dopo




Gran parte della mia giovinezza, la trascorsi a Brescia, al quartiere San Giacomo; dal marzo 1975, io e la mia nuova compagnia di sette amici decidemmo, come ritrovo, un pub chiamato “Superbar”, nell’adiacenza di Via San Faustino. Qualcuno, a volte, si assentava per dedicare alla fidanzata. Al bar-ritrovo c’era l’ennesima animazione: frequentatori che cercavano di vincere la monotonia della zona, con una partita a carte, biliardo o flipper. In più occasioni, a piedi, facevamo degli zuzzurulloni per le vie vecchie della città: il quartiere Carmine, tra edifici decrepiti che conservavano una loro dignità. Rare volte, commentavamo, senza sorta d’ironia, con signore del luogo che sostavano in strada e che, dal mio punto di vista, ciascuna aveva una caratteristica originaria della zona: ferma, attenta ai nostri movimenti, le mani incrociate o “impegnate” con una sigaretta e la schiena poggiata alla sedia. Gli effeminati erano nostre mascotte della zona; pur dotati di una simpatia immensa e educata, delle volte li dileggiavamo con una strizzata d’occhio o una mimata civile.
C’erano individui poco raccomandabili, ma in loro nulla che facesse incutere timore a me e amici; guardavamo e ignoravamo i venditori di spinelli, gli ebbri e i “diversi” che c’invitavano nelle loro tentazioni proibite. Le serate piovose “ci permettevano” di frequentare il compianto cinematografo “Brixia” o il “Moderno”, dove “peccavamo” i nostri occhi e anime con film a luce rossa.

 

 

La fine settimana, di tutte le stagioni, era la tappa alternata nei bar del centro storico; locali pieni di gente allegra di sabato senza lavoro, comprese le ragazze con cui scambiare qualche commento o confidenza; la domenica, era il trascorrere delle ore al “Pincio”, un locale dove allora v’era da ascoltare musica e in cui ballare, sito in Castello (maniero che domina sulla città, N.d.A).
L’8 febbraio 1978 segnò



 
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Gianmarco Dosselli